Rinnovamento nello Spirito Santo

Gruppo Maria
Chiesa di Santa Maria della Consolazione, piazza della Consolazione, Roma

 


 

 

IL DISCERNIMENTO DELLA COMUNITÀ

 

Una premessa per discernere l’autenticità della Comunità

e della nostra chiamata a farvi parte


 

GAETANO COLLI


 

Sabato 7 aprile 2018

 

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Un cammino di crescita personale e comunitario

Il cammino di crescita ministeriale e carismatico, che inizia oggi, si compie all’interno della comunità, pertanto prima di entrare nel vivo dei temi ministeriali e carismatici è bene conoscere il luogo e lo spazio dove questi doni e questa ministerialità carismatica vengono esercitati: la comunità alla quale apparteniamo, in definitiva noi stessi.

Un cammino di crescita è personale ma è anche comunitario dal momento che il comandamento del Signore è image«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente...e il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22). La comunità è il luogo dell’incontro con Dio e con il prossimo, non può essere solo Dio o solo con il prossimo.

È nella comunità che emerge il dono di ciascuno di noi. Magari siamo scarsi o mediocri in tanti altri campi, ma in un campo speciale sicuramente possediamo un carisma speciale da mettere a disposizione della Chiesa e dei fratelli. La comunità è il luogo che è capace di discernere e scoprire questo genio che è in ciascuno di noi. Ed è importante per ciascuno di noi che ci venga riconosciuto questo carisma speciale che noi magari non sospettiamo neppure perché è un dono nascosto nella nostra debolezza, mentre solitamente pensiamo, supponiamo, o peggio pretendiamo, di possederne altri che invece non abbiamo affatto. Questo dono, nascosto nella nostra debolezza, è però frutto della comunione fraterna proprio come canta il Salmo 133 (132), bellissimo e struggente:

Canto delle ascensioni. Di Davide. 
Ecco, com'è bello e com'è dolce
che i fratelli vivano insieme!
È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull'orlo della sua veste.
È come la rugiada dell'Ermon,
che scende sui monti di Sion.
Perché là il Signore manda la benedizione,
la vita per sempre.

È il canto della gioia della salita del popolo a Gerusalemme, rappresenta la nostra vita comunitaria, l’ascesi, il desiderio di Dio, il pellegrinaggio della nostra vita. Rappresenta bene i nostri incontri di preghiera, il profumo delle lodi, la rugiada dello Spirito che scende su di noi... E’ uno di quei canti che ci incantano quando entriamo nel Rinnovamento e che ci fanno gustare una realtà nuova, una dimensione altra che fino ad allora non avevamo trovato.

La forza di attrazione di Cristo “quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12, 32) che si manifesta nella preghiera comunitaria carismatica è fortissima e così, come d’incanto, ci troviamo ad entrare nel Gruppo e iniziamo a fare l’esperienza comunitaria.

Un bisogno innato di vivere in comunità

Prima di essere credenti, prima di essere cristiani, prima di essere cattolici, noi tutti siamo uomini e donne con un bisogno innato di vivere in comunità, in comunione, stare insieme, condividere. L’uomo non è un essere solitario. E’ una necessità ontologica, cioè è inscritta nell’essenza dell’uomo. Infatti nella Genesi leggiamo che Dio, dopo aver creato Adamo, dice “non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2, 18) e gli pone accanto la donna perché esca dalla sua solitudine e da lì la famiglia, il clan, la società. L’uomo ha bisogno di vivere in comunità. In definitiva possiamo dire che l’uomo è un essere di relazione, per vivere ha bisogno di stare in relazione con altri. Se tutto questo è vero per la vita umana in senso sociologico, psicologico e affettivo (ci aggreghiamo in mille modi: club, circoli, gruppi fondati sullo sport o sugli hobby, tifoserie varie, ecc.), lo è molto di più in senso spirituale e cristiano perché la vita di fede è una vita di relazione con Dio e con i fratelli a immagine della Trinità.

Gesù stesso ci ha dato l’esempio e si è creato una comunità. Poteva evangelizzare il mondo da solo, anzi, senza avere intorno quei poveracci di apostoli che ogni tanto gli creavano problemi oltre che scandalo (ricordate cosa dice a Pietro “va de retro satana”) fino a rinnegarlo e tradirlo, da solo sarebbe stato più libero. Invece si crea una comunità, ci dà l’esempio. Ha bisogno della comunità, di più, ha bisogno dei peccatori per evangelizzare, li manda avanti a due a due. Trasmette loro il suo insegnamento, il suo programma di salvezza, spiega come devono comportarsi “non portate due mantelli ... perdonate 70 volta 7... quando pregate dite così...”, insegna la dinamica comunitaria che è basato sull’amore e sul perdono permanente. La comunità cristiana è il luogo di riunione dei fratelli attorno a Cristo «Li scelse perché stessero con lui» (Mt 10, 14 dove si impara ad amare, a perdonare, a curare gli infermi, a liberare, a spezzare il pane in comunione, altrimenti la solitudine assedia il nostro cuore.

Per seguire Gesù ci siamo uniti in comunità, cioè un gruppo di uomini e donne chiamandoci fratelli, da quel momento non è più possibile scindere queste due realtà : Dio e il fratello, Dio e la comunità. Il legame con l’uno rafforza il legame con l’altro, quello che si fa per l’uno si fa per l’altro.

La comunità cristiana come evento ecclesiale

La comunità è radunata da Cristo stesso. Lo spiega molto bene Luca in At 2, 47: «Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» in quello che è il testo fondamentale esplicativo della comunità cristiana. Ciascuno di noi sa per quali misteriose vie siamo stati portati a far parte del Gruppo Maria, non è stata opera di uomini e neppure possiamo dire che mai nessuno di noi avrebbe sospettato che un giorno saremmo stati inseriti in questa comunità, ma il Signore ci stava attendendo.

Che poi sia veramente Cristo a chiamare quelli che vuole penso che ne abbiamo fatto esperienza tutti quando ci è successo di portare persone al Gruppo e vedere che queste sono rimaste indifferenti, magari hanno detto “sì è bello” ma gli è scivolato addosso e noi non riusciamo a spiegarci

come sia possibile che qualcuno rimanga indifferente o non venga catturato nella rete di Dio. Senza alcun giudizio, ben inteso, comunque è chiaro che in quel caso non c’è stata la chiamata, non era quello il momento, sarà in un altro tempo o in un altro luogo, se la chiamata ci fosse stata, l’attrazione di Cristo che è fortissima avrebbe catturato anche quell’anima.

Gesù possiede una forza di attrazione straordinaria che va al di là di qualsiasi logica. D’altra parte Gesù stesso si definisce Pastore che raduna le sue pecorelle. Questo noi siamo, pecorelle radunate da Cristo in persona così come i primi discepoli. Prima cosa eravamo? Ce lo dice Isaia 53, 6: «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada». E tuttavia continuiamo ad ssere sottoposti alla tentazione di lasciare, di abbandonare, di fuggire, di entrare in lite (ricordate quando i discepoli litigano per sedere alla destra e alla sinistra di Gesù? Mc 10, 43). E la vigliaccheria di Pietro? La tentazione di rinnegare è sempre dietro l’angolo. Allora siamo di nuovo dispersi, ma per poco tempo perché il Pastore torna a radunarci.


 

La comunità tra pienezza e diaspora

Perché esista la comunità attorno al Pastore non è necessario che sia grande, importante, numerosa. Ai piedi della Croce c’era già la pienezza della Chiesa: Maria, Giovanni, la peccatrice convertita, il centurione, anche la presenza del buon ladrone contribuisce alla pienezza della Chiesa. Non c’è nessuno degli altri apostoli, si uniranno dopo, entrerà anche Pietro dopo aver amaramente pianto e gli altri che erano scappati via al momento dell’arresto. Allo stesso modo l’essenza della nostra comunità non dipende dalla numerosità, non è importante che siamo “bravi”, “capaci”, numerosi o da quanto tempo possiamo vantare l’esistenza della comunità stessa o la data della nostra effusione; la pienezza della nostra comunità dipende essenzialmente da quanto stiamo insieme ai piedi della Croce, insieme attorno alla Mensa, insieme nel Cenacolo invocando e attendendo la

venuta dello Spirito Santo. Per fare la comunità non serve nulla di più, la comunità come la Chiesa fondata da Cristo, è sempre minoritaria, è piccolo gregge, è un seme che muore e germoglia, è un po’ di lievito che fermenta tutta la pasta, è sale che si scioglie nell’acqua. La tentazione di “farla grande e potente” è perdente.

Eppure la comunità (NOI) – ripeto: nonostante l’esperienza potente e rigenerante dell’Effusione dello Spirito santo – viviamo sempre nella tensione tra la dispersione (i discepoli che dopo l’arresto di Gesù si dispersero) e la pienezza nell’attesa del ritorno dei fratelli che si allontanano. Senza la comunità siamo continuamente dispersi di qua e di là nel mondo, lontani dagli altri e anche da noi stessi. La comunità è il luogo dove noi troviamo casa, stabilità.

L’abbiamo detto, la comunità è un dono che ci viene conferito gratuitamente dalla Misericordia di Dio, è anticipazione del Regno dei Cieli, pregustazione di ciò che sarà, lo scopriamo principalmente durante la preghiera comunitaria e la Celebrazione Eucaristica. La comunità è luogo di grazia che non ci appartiene, siamo noi che apparteniamo alla comunità.

Quando ci accade di sentirla nostra e decidiamo di volerla amministrare, di sentirci artefici della comunità rischiamo di restarne fuori, anzi, ce ne poniamo fuori.

Discernere l’autenticità della comunità

È necessario però discernere l’autenticità della comunità e, di conseguenza, l’autenticità della nostra appartenenza. Una comunità può essere un fenomeno sociologico o una creatura di Dio. Generalmente è tutte e due le cose perché sono presenti le due componenti, umana e spirituale, ma esistono dei criteri per discernere l’autenticità della comunità cristiana.

La comunità cristiana si edifica sulla debolezza umana

Sappiamo con certezza, perché ce lo dice la Parola, che quando pensiamo di essere forti è proprio allora che siamo deboli. E’ il paradosso che ci è stato insegnato da San Paolo che in 2Cor 12, 10 dove leggiamo “Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.

e ancora in

1Cor 1, 26-30: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione».

È proprio questa debolezza che ci abilita a far parte della comunità, per questo il Signore ci ha scelti per guarire le nostre infermità, le nostre malattie, il nostro peccato, perché laddove abbonda il peccato sovrabbondi la Grazia. Questa stessa debolezza costituisce anche la base della relazione che abbiamo con i nostri fratellici accettiamo e ci accogliamo gli uni gli altri nella reciproca debolezza e ci accogliamo come DONO reciproco perché proprio in questa debolezza si manifesta la potenza di Dio. Nella comunità noi non ci siamo scelti, siamo stati messi insieme da Dio a prescindere dal nostro carattere, dalle nostre inclinazioni, dallo status sociale, dal conto in banca... l’artefice di questa comunione è solo ed unicamente Dio. Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia questa realtà, questa povertà che, in un modo o nell’altro, ci accomuna e ci fa

discepoli dell’Unico Maestro e Signore. Il contrario, cioè una comunità di persone selezionate, umanamente scelte, non è una comunità, è una setta.

Qui si pone una prima avvertenza: stiamo attenti a non cadere nell’equivoco. Siamo nel Rinnovamento, viviamo nel Rinnovamento, abbiamo ricevuto la preghiera di Effusione, ma non siamo divenuti esseri spirituali, non siamo angeli, siamo uomini e donne fatti di carne e psiche oltre che di spirito. In noi rimane sempre presente e pressante la nostra umanità con i nostri bisogni affettivi e psichici. Rimane in noi sempre la triplice presenza di corpo spirito e anima. Quindi quando facciamo comunione, la facciamo sotto queste stesse specie di corpo, psiche e spirito che coesistono. Non è che quando veniamo al Gruppo lasciamo il corpo e la psiche fuori dalla porta, giusto? Ed è giusto che sia così infatti Gesù è venuto a salvare l’uomo intero che è sempre fatto di corpo spirito e anima. Anche nel Paradiso, dopo la risurrezione, benché glorificati, avremo il corpo, l’anima, e lo spirito. Quindi togliamoci dalla testa di essere diventati angeli o che siamo sulla strada per diventarlo anche se tante volte, durante la preghiera, avvertiamo forte la dimensione spirituale intorno a noi e in noi. Viviamo comunque nell’eterna lotta tra il bene e il male come leggiamo in Rm 7, 18-19: «Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio». Di più, c’è un peccato che ci assedia proprio come leggiamo in Eb 12, 1-2: «Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento».

Apriamo allora un discorso molto importante che riguarda l’illusione sulla realtà della comunità.

Chi entra nella comunità ha spesso l’illusione di aver trovato una realtà perfetta: le preghiere, i canti, le profezie, l’accoglienza, possono dare l’illusione di un ambiante santo e meraviglioso. Quando poi la realtà della

comunità comincia a saltare agli occhi con tutti i suoi limiti (veri o presunti, nostri e degli altri) e con le debolezze e i peccati (nostri e dei fratelli), allora scatta la delusione.

La comunità ad un certo punto provoca una delusione.

La delusione concerne vari punti che riguardano gli altri ma anche noi stessi, facciamo qualche esempio:

  1. non vengono riconosciuti i miei doni

  2. nessuno si accorge di me e si prende cura di me

  3. quelli del pastorale non mi sembrano adeguati

  4. qui contano solo alcuni, gli altri vengono abbandonati a se stessi

  5. chiedono sempre soldi

  6. la preghiera non mi piace più

  7. in questo Gruppo non trovo spazio per mostrare i miei carismi

  8. continuo ad essere peccatore

  9. non riesco a liberarmi dai miei difetti

  10. ho chiesto tante volte al Signore di guarirmi ma non mi ascolta

... chi più ne ha più ne metta

La conseguenza è dapprima la PRETESA CHE SIANO GLI ALTRI A CAMBIARE, ma questo evidentemente non accade. Poi viene la critica talvolta feroce nei confronti di Dio, del pastorale e dei fratelli, mettiamo all’indice i difetti di ciascuno, diventiamo abilissimi nell’identificare le debolezze di ogni singolo fratello. Nel peggiore dei casi può accadere che iniziamo a cercare altri fratelli ‘insoddisfatti’ con i quali condividere, dentro e fuori dal Gruppo, le lamentele e diamo avvio alla maldicenza e al chiacchiericcio che logorano prima di tutto noi stessi e poi tutta la comunità. Nel contempo evitiamo accuratamente di parlarne con il pastorale che sarebbe invece l’organo preposto ad accogliere il cuore ferito dei fratelli. Alimentiamo questi sentimenti e li disseminiamo negli altri. Alla fine possiamo decidere di andare via, di lasciare tutto. La debolezza degli altri è diventata lo specchio della nostra stessa debolezza, ci nausea e ci diviene insopportabile!

 

Il punto di svolta “quando sono debole è allora che sono forte”

È invece proprio questa comune debolezza che ci abilita a camminare insieme verso la salvezza di Gesù che è venuto per i malati, non per i sani. Qui sta l’annuncio della Salvezza. Questa delusione è in una certa misura giustificata dalla povertà dei fratelli; spesso però è gonfiata e alimentata dai nostri risentimenti e dal malumore che abbiamo lasciato incubare nel nostro cuore.

Tuttavia questa delusione è molto salutare. Bisogna passare attraverso questa delusione, bisogna comprendere che è proprio questa reciproca debolezza (la debolezza dei fratelli che viene a contatto con la mia debolezza) che ci abilita a far parte di quelli che ricevono la Misericordia di Dio... non diventeremo migliori se non nella misura in cui ci lasciamo avvolgere da questa Misericordia, da questo perdono e, a somiglianza di quanto Cristo ha fatto con noi, anche noi a nostra volta diventiamo misericordiosi e impariamo a perdonarci e ad accoglierci a vicenda.

Inizialmente, lo sconforto e la pena causati dalla delusione, è feroce, perfino insopportabile e può spingerci a girare le spalle. Tuttavia la delusione è salutare perché ci spinge ad uscire fuori dall’immaginario,dall’idealismo, dalla perfezione che non esiste e che, come abbiamo visto, mette a nudo anche la nostra povertà. Questa è la concreta povertà che Cristo Signore è venuto a redimere.

Non appena smettiamo di sognare sulla comunità (ma lo stesso si può dire sulla Chiesa o sulla Famiglia), non appena scopriamo il volto autentico della comunità, questa ci appartiene davvero, diventa nostra. Finché sogniamo, siamo nell’immaginario. Ma il Signore non ci chiede di amare un fratello o una comunità o una Chiesa immaginaria, ideale; il Signore ci chiede di amare persone concrete, comunità concrete, famiglie concrete, sposi concreti, figli concreti. Allo stesso modo ci insegna ad accogliere le altre delusioni della nostra vita sapendo che Dio ci incontra proprio lì. Ci insegna a non fuggire più ma ad accogliere e condividere. Nella vita quante delusioni riceviamo e quante persone noi stessi deludiamo. La

comunità ci insegna a guardare in faccia la realtà così com’è davvero, così come Dio stesso la vede, così come Dio stesso la perdona, la ama, la colma della sua Grazia. Una Grazia immeritata, che in nessun modo possiamo guadagnare ma che possiamo solo accogliere con gratitudine immensa.

La comunità non è un luogo di sogno

La comunità non è un luogo di sogno, un luogo da favola dove tutto è bello e santo; la comunità è il Luogo concreto dove si fa esperienza della nostra piccolezza raggiunta dalla Misericordia di Dio; per questo è Luogo di Grazia e tutto ciò lo scopriamo solo quando? Quando apriamo gli occhi e smettiamo di sognare su di essa. Dietrich Bonhoeffer dice che quello è il momento nel quale la comunità ci viene donata, diviene nostra e ci viene consegnata perché imparassimo ad amarla così com’è e a prendercene cura. Solo allora comprendiamo finalmente la ragione profonda della nostra appartenza: imparare l’umiltà, il perdono, l’accoglienza, l’amore esercitando i ministeri che ci vengono assegnati attraverso i carismi che il Signore ci dona.

Analogamente anche noi, tutti noi, non dobbiamo più nasconderci, non dobbiamo più avere paura di perdere la faccia e mostrare serenamente la nostra povertà, il nostro limite perché è in quel limite che Dio ci raggiunge. Allora il limite, il punto più basso della comunità diviene il suo vertice (il paradosso) perché è lì che incontriamo Dio. Il nostro limite è la ragione per cui siamo stati chiamati nella comunità, a farvi parte. Il peccato è la ragione della nostra salvezza. Questo non riguarda solo gli ultimi, ma riguarda anche i primi, cioè degli anziani, il pastorale, il coordinatore. Paolo, scrivendo a Timoteo, dirà «Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, e di questi io sono il primo» (1Tm 1, 15).

Quando concretamente apriamo gli occhi sulla comunità? Indovinate un po’, quando iniziamo ad essere delusi dai fratelli e, soprattutto, quando accade che il limite dei fratelli ci ferisce, ci offende, ci colpisce nel nostro IO. Siccome questo, tra i membri di una comunità prima o poi accade inevitabilmente, la cura è una sola e si chiama Perdono. La comunità

cristiana può vivere soltanto nel perdono permanente e nell’accoglienza permanente divenendo così luogo del perdono e della festa come titola il fondamentale libro di Jean Venier, ma questi sono i temi che toccheremo nei sabati successivi.

Preghiera conclusiva

Allora cantiamo insieme il Salmo 133 che abbiamo citato all’inizio chiedendo al Signore che quell’olio prezioso della comunione fraterna ci consacri, che sia versato sul nostro capo e che scenda giù fino al cuore e con la sua dolcezza sciolga tutte le amarezze della vita. Chiediamo che la Rugiada dello Spirito Santo scenda nella nostra vita per consolare tutte le nostre delusioni.


Brani biblici utili per l'approfondimento e la condivisione:

Salmo 133 (132)  -  Gen 2, 18  -  Mt 10, 14

At 2, 47  -  Is 53, 6a  -  Gv 19, 25   -  2Cor 12, 10

1Cor 1, 27   -  Rm 7, 18   -  Eb 12, 1-2  -  Giacomo 3, 1-12


 

Pro-manuscripto ad uso interno del Gruppo Maria

L’elenco dei libretti del Gruppo Maria è reperibile all’indirizzo Internet http://www.gruppomaria.it/Biblioteca/Biblioteca.htm


 

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Il Gruppo Maria si riunisce ogni sabato alle 17:00 per la preghiera comunitaria carismatica aperta a tutti, seguita dalla Celebrazione Eucaristica prefestiva. Le riunioni, che sono pubbliche, si tengono nella Chiesa di Santa Maria della Consolazione, piazza della Consolazione, Roma. Una volta al mese, mediamente, si tiene il ritiro domenicale dell'intera giornata, anch'esso aperto a tutti.

Per le persone che intendono seguire il cammino si svolgono ulteriori attività formative e di approfondimento. Il principale servizio offerto a chi vuole sperimentare l'Amore di Dio nella potenza del Suo Santo Spirito, è il Seminario d'Effusione che, se ci si abbandona con fiducia all'azione dello Spirito Santo, porta al Battesimo nello Spirito. Durante la settimana sono spesso organizzati ulteriori incontri di formazione e di condivisione per la crescita personale e per il servizio offerto agli altri.

Per informazioni: gruppomariaroma@gmail.com

http://www.gruppomaria.it - image@gruppomariaroma

 
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