Rinnovamento nello Spirito Santo

Gruppo Maria
Chiesa di Santa Maria della Consolazione, piazza della Consolazione, Roma

 


 

 

LA COMUNITÀ LUOGO DELLA TESTIMONIANZA

 

 

EMILIA PALLADINO


 

Domenica 22 aprile 2018

 

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Grazie. Bentrovati a tutti quanti e grazie. Io sono qui insieme a Filippo mio marito. In realtà siamo qui per onorare un debito, a parte il piacere grandissimo di venire ogni volta che posso, perché mi mancate sempre moltissimo, e Dio solo sa quanto vi penso sempre sempre sempre proprio sempre sempre tutti i momenti. Quindi io verrei in ogni caso. Ma adesso veniamo io e Filippo, c’è anche Caterina nostra figlia, perché dobbiamo dire grazie. Praticamente la situazione sul lavoro di Filippo si stava letteralmente deteriorando, stava diventando sempre più sfilacciata, sempre sempre più complicata,  la difficoltà trascendeva la situazione concreta, diciamo così, era qualcosa che andava oltre, si cominciava a stare male, ma in un senso strutturale profondo.  D’estate Filippo ha sempre avuto nel precedente lavoro un mese di ferie, quindi c'era modo di parlarne, di discuterne, di confrontarci, e in tempi lenti, anche pregati, quindi affidati anche alla Grazia che ci ha sempre accompagnato perché comunque io e Filippo siamo due sposi credenti, non c'è niente da fare, è maturata la decisione di rompere il rapporto di lavoro che lui aveva con la precedente azienda presso cui lavorava. È stata una decisione molto sofferta, molto parlata, pregata, sviscerata; abbiamo fatto tutta una serie di passaggi importanti, ed è diventato un fatto: a settembre del 2014, al ritorno immediatamente dall'estate Filippo non aveva più un lavoro, a ridosso dei 40 anni, perché ha compiuto 40 anni  il primo ottobre del 2014.  Io adesso devo trovare le parole per raccontare, per  dire il miracolo che sono stati questi anni: non riesco a trovare le parole per dirlo, perché da questo momento è cominciato  un lavorio costante, un po' come il passo del vasaio - l'avete presente, il vaso di Creta del vasaio – che modella tutta la creta, la fa girare, quindi in questa opera di modellamento della creta c'è la trasformazione di una materia, che è una trasformazione dolorosa,  la materia non si trasforma serenamente in quello che deve diventare, si trasforma patendo con grida lancinanti, perché viene trasformata, viene piegata, perde la forma che aveva prima e deve assumere la forma che poi avrà. E questo lavoro è un lavoro di dolore, non è un lavoro che va da sé,  la creta soffre quando viene girata, plasmata, storta, modellata, e quando viene modellata e soffre non sa che cosa diventerà. Nessuna materia sa come si trasformerà una volta che è finita l'opera, nel mentre in cui viene modellata sta solo male,   passatemi il termine non è nemmeno corretto questo, però sta in quello stato fra il già e il non ancora, che è la condizione dei credenti. Noi siamo a metà, facciamo la nostra vita in un pellegrinaggio che è fra il già è il non ancora, e il non ancora è simbolico, e quindi il simbolo diventa concreto, per cui in questi tre anni e mezzo abbondanti noi siamo stati modellati costantemente, faticosamente, proprio a volte cesellati come l'orafo. Tutte queste immagini, queste allegorie che vengono usate nella Bibbia per descrivere la trasformazione che il Signore opera sono state tutte messe in campo, alla fine noi non sapevamo nel frattempo in cui tutto ciò accadeva, noi non sapevamo assolutamente che cosa sarebbe successo, non lo sapevamo, io però ho fatto una cosa che riguarda strettamente il tema della testimonianza. Subito dopo che era accaduto il fatto, cioè che abbiamo cominciato ad andare avanti senza un lavoro fisso, io sono andata da Gaetano e gli ho detto:  un giorno verrò a fare la testimonianza. Questo l'ho detto quattro anni fa a Gaetano.  Nel mezzo del nulla la prima cosa che ho fatto in modo del tutto scientifico, se volete senza avere nessun trasporto emotivo, diciamoci la verità.

Ma proprio per scelta ho detto a Gaetano: un giorno io verrò a raccontare, noi verremo a raccontare, e  questo giorno è oggi, dopo quasi 4 anni, io ho voluto dire questa cosa pubblica, quindi gli anni che ci hanno accompagnato, che ci sono stati, sono stati anni che hanno dispiegato una porta, senza che ci fosse in realtà l'esplicitazione di una potenza che è stata tutta interna, perché operata dallo Spirito Santo. Si è piano piano sciolta davanti ai nostri occhi negli ultimi sei mesi: Filippo dal primo di gennaio di quest'anno ha un contratto di lavoro ed è il primo che copre un po' di tempo da allora. Se io vi raccontassi tutto quello che è accaduto in questi tre anni e mezzo non ci sarebbe o non basterebbe un'ora, non basterebbero due giorni. Ci siamo anche trovati in alcuni momenti di grandissima angoscia, d'incapacità di vedere più in là del nostro naso, di  poter programmare, e come famiglia con una bambina piccola è stato complicato, è stato doloroso, non riuscire a dire ce la faremo dopo aver buttato tutto sulla possibilità che veramente il Signore facesse,  noi abbiamo veramente gettato le reti sul nome di Gesù, e c’era il timore di esserci sbagliati, perché il tempo passava,  e non si arrivava mai alla fine. Dicevamo: non è così tutto quello che abbiamo detto per vent'anni. Sono 25 anni di Rinnovamento e comunque 25 anni di crescita di fede, con Filippo sono 11 anni che siamo sposati. Quindi dopo tutto questo lavorio che c'è stato negli anni pensavamo: abbiamo fatto una cosa e va male, da qui una paura importante che si trasformava in angoscia, perché ti dici che  sei perduto. In tutti questi momenti, io sono qui a testimoniarlo e Filippo è lì che mi ascolta, che lo sa, in tutti questi momenti non siamo mai, lo dico veramente con cognizione di causa, non siamo mai stati lasciati soli, mai mai mai, la provvidenza di Dio c’è sempre venuta incontro, tanto interiormente quanto materialmente; abbiamo avuto periodi in cui non avevamo nulla, ma riuscivamo ad andare avanti, io non me lo so spiegare. Questo non vuol dire che altri devono fare la nostra esperienza,  sto raccontando la radice di un'esperienza, ognuno ha la sua, ognuno ha la sua vita, ognuno ha i suoi momenti di difficoltà, ma quello che noi abbiamo visto nella nostra vita  in questi anni è stato questo continuo accompagnamento dello Spirito Santo, che è diventato carne e sangue, carne e sangue, che è diventato familiare come la pelle, è diventato concreto come le ossa, è diventato ragione come il sole che sorge la mattina e anche più che in  tante altre esperienze nella mia vita, forse perché sono ormai adulta e quindi vedo anche le cose in un altro modo rispetto a quando avevo che ne so 25 anni, ho assistito a questo dispiegamento della potenza della Misericordia e della potenza di Dio. È stato qualcosa a cui ho assistito, ma che in realtà mi è appartenuto, quindi non è solo qualcosa che io vedo, ma anche qualcosa che io sono, per cui Dio non è più colui che io adoro fuori di me, ma è colui che io onoro dentro di me, e quindi diventano concrete le parole di Gesù quando dice che Dio è dentro, è nel cuore, ma è anche visibile e si uniscono queste due ragioni della nostra fede, in una solidità che poi non se ne va via più, una volta che si saldano questi estremi cioè il lavoro interno che il Signore fa con noi e la visione delle cose  fuori di noi, una volta che questi estremi si saldano non si scollano più, perché cambia l'interpretazione dell'esistenza, cambia la prospettiva che il Signore dà sulla nostra vita reale. Io non li cambierei con niente al mondo questi tre anni e mezzo,  non li rifarei ma li ripercorrerei per vedere e vivere quello che abbiamo visto e vissuto, e quello che adesso noi vediamo e viviamo. Noi non siamo dei sopravvissuti,  siamo come tutti,  c'è stato dato di sperimentare un'opera costante di Dio, che si è fatta carne in ogni singolo momento della nostra vita, anche quando noi l'abbiamo negata, anche quando noi abbiamo detto magari non ce la facciamo,  anche quando non vedevamo più in là del nostro naso, in quei momenti mai soli. In questo un ruolo fondamentale, irrinunciabile, per il quale io dovrei solamente andare in ginocchio da qui al resto dei miei giorni per quanto il     Signore mi manterrà in vita: voi. Io so lo so bene che in questi tre anni e mezzo avete pregato, mi avete sostenuto, ci avete pensato. Ho ancora sulle spalle e sul corpo gli abbracci di Giorgio Baldi quando venivo qui, le rare volte che riuscivamo a venire, che riuscivo a venire, ho ancora  le parole di alcuni di voi negli occhi e nella testa e nelle orecchie, gli sguardi, i sostegni, le preghiere, tutto, tutto, siamo stati accompagnati in ogni singolo momento, anche quando noi non lo sapevamo. Anzi forse soprattutto quando noi non lo sapevamo, in una comunione che non è tanto in termini di condivisione della vita,  questo non c'è più, io non vengo più come prima, non posso farlo, ma in termini di radice,  di condivisione delle cose che ci fanno vivere. Un albero cresce e si fortifica perché ha delle radici. Se un albero viene reciso dal tronco perde le radici, e perde la possibilità di vivere. Perdonatemi la generalizzazione però la comunità costruisce, solidifica, inguaina le radici dell'esistenza di ciascuno di noi,  e le condivide. Per questo fra di noi è giusto che si mantenga un linguaggio spirituale, dove non è la negazione del dolore, non è la negazione della fatica ma è il ricordo costante che qualcos'altro ci nutre, non solo la nostra forza, non solo la nostra determinazione, non solo le nostre scelte, ma lo Spirito Santo che abbiamo conosciuto nutre le radici della nostra storia personale e della nostra storia comunitaria:  è un'esperienza di aldilà, è un'esperienza di eternità che noi già cominciamo qui, non ancora realizzata, ma che condivideremo con i nostri fratelli, quando saremo chiamati. Niente si interromperà di questo flusso d'amore che passa da sotto, passa dal terreno già adesso, è così con tanti di noi e ci abbiamo i nomi nella mente, perché recentemente abbiamo sofferto tutti tanto, per questo già adesso è così, già adesso non si spezzano i legami, già adesso le radici vengono nutrite da un'acqua che non ci appartiene, ma che di fatto è la nostra vita. Quando cantavamo durante la comunione io vivo in te, che tra l'altro è una frase di Paolo, non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me, parla di una cosa estremamente concreta, radicale, come le radici . C'è la possibilità di dire: Io vivo con Gesù; semmai la testimonianza ha senso come condivisione di un'esperienza ce l'ha perché è il racconto di una relazione vitale che è concreta. Lavoro come docente alla pontificia università Gregoriana; per questo mi trovo a leggere,  a vedere un po’  su cosa riflette la teologia contemporanea; una delle cose su cui riflette di più in questo periodo è su come si fa a saldare la fede con l'esperienza concreta di tutti i giorni del credente di oggi.  C’è un linguaggio tecnico, si parla di uomo  post moderno, ci sono spiegazioni particolari che adesso a noi non interessano, diciamo che  mentre  tanti anni fa tutto quello che ci capitava, tutto quello che ci succedeva, veniva riferito a una  potenza esterna, facilmente a un'azione di Dio, nella nostra epoca le nostre competenze, le nostre conoscenze, la nostra capacità, non hanno più questa corrispondenza,  questo canale,  non so come altro dirlo facilmente, con il trascendente. Quindi come si fa a vivere la fede e a carpirne l'efficacia, l'agire all'interno della nostra vita di tutti i giorni, perché  il rischio (a cui la testimonianza pone un rimedio in qualche modo) il rischio è che noi ci facciamo la nostra vita. Non ci accorgiamo più di niente, andiamo avanti come treni, perché comunque siamo treni, perché sennò non riusciremmo ad andare avanti. Il Signore accompagna questo treno in corsa, senza però riuscire a fare qualcosa che cambi il corso per esempio del treno, oppure che intervenga o lo rallenti, o qualcos'altro, quindi noi andiamo avanti pur sapendo che il Signore c'è, perché comunque siamo dei credenti, sapendo che senza la fede non vorremmo stare, ma di fatto senza vedere l'azione, senza vedere che tutto questo credere ha un valore concreto nella mia vita di oggi, che quando  apro gli occhi al mattino e vado a letto la sera, e metto insieme le giornate, le settimane, eccetera eccetera, io posso dire che il Signore ha agito, qui il Signore ha fatto questo, qui il Signore mi ha aiutato, qui il Signore ha fatto proprio una cosa pratica.  Non sappiamo più per via del mondo che viviamo descrivere l'opera di Dio, raccontarla, e dargli la paternità: quando noi diciamo Gesù è il Signore,  non sappiamo più in pratica che vuol dire. La testimonianza è il raccontare le cose che il Signore fa nella nostra vita,  rimedia tutto questo scollamento fra il trascendente e la vita ordinaria (non sto parlando degli incontri di preghiera,  ma della vita di tutti i giorni, il traffico, il lavoro, i figli, i genitori, e i dolori, le malattie, le morti, gli insuccessi, i problemi economici, tutto quello che ci succede e anche le soddisfazioni perché no). In tutto quello che ci succede non vediamo un’infiltrazione della trascendenza, un'infiltrazione che ci faccia dire con facilità o con evidenza che appartenga allo Spirito, che appartenga a Dio, che sia opera di Dio. Allora se non c'è questo continuo riconoscimento dell'opera di Dio, si perde alla lunga anche la fede, diventa non una viscera, ma  una delle nostre t-shirt, diventa una delle nostre giacche, che così come ce l'abbiamo ce la possiamo togliere, mentre le viscere anche se ci fanno male ci stanno, non possiamo togliere le nostre viscere, a meno che non perdiamo la vita. mentre possiamo toglierci una giacca e continuano a vivere tranquillamente.  Con la testimonianza c’è il riconoscimento dell’intervento di Dio nelle nostre vite,   è qualcosa che sta dentro ai nostri cuori, dentro le nostre pance, dentro le nostre viscere, e ricollega l'esterno con l'interno. Come magistero abbiamo una tradizione lunghissima sul discorso della testimonianza: il cristianesimo è cresciuto sulla testimonianza, gli Atti degli apostoli sono racconti di testimonianze, i martiri sono racconti di testimonianze, i miracoli sono racconti di testimonianze. Nel Rinnovamento siamo cresciuti così, io da 25 anni sento dire che la testimonianza è un obbligo, ma in realtà  si tratta della capacità di raccontare qualcosa che accade dentro alla nostra vita, di riconoscere  la presenza di Dio,  e questo riconoscimento ha a che fare con la carne e col sangue,  è un modo di leggere  la realtà di tutti i giorni che ci appartiene. Su questa questione del riconoscimento si gioca la concretezza della nostra fede, sul riconoscere quando siamo nel dolore, nella prova, che l'abbiamo cercata, in qualche modo  l'abbiamo scelta, in qualche modo noi abbiamo scelto di farci forgiare. Viviamo situazioni di malattie, di prova, di lutto, qualunque cosa che non dipende da noi, se in queste situazioni dove non riusciamo a fare neanche un passo perché ci sembra di non capire, se in queste situazioni noi non riconosciamo comunque un tratto che è il tratto dello spirito, non sapremo neanche dire e riconoscere quando tutto questo finirà, perché le cose  finiscono sempre, cambiano, e noi non sapremo neanche riconoscere quando le cose cambieranno, di cosa dobbiamo parlare. Quando io sono andata da Gaetano gli ho detto: fra 4 anni parlerò, non ho detto fra 4 anni quando sarà finito tutto questo parlerò; in realtà è stata la mia più una preghiera, era un modo per me per rendere pubblico, quindi per fare uscire da me, il desiderio intramontabile di vedere il Signore all'opera nella mia vita. Mi sono detta: se io subito faccio il passo più lungo della gamba poi lui mi aiuterà a colmarlo.  Il trucco in qualche modo è stato questo. In questi tre anni e mezzo non sono solo successe delle cose, non solo è andato avanti il tempo, non solo si sono esauriti dei periodi che comunque si esauriscono, ma è accaduto anche che è cresciuta una relazione fra noi e lui, perché abbiamo visto, abbiamo riconosciuto delle cose, dei momenti,  abbiamo potuto focalizzare, abbiamo fatto un percorso nel quale  siamo stati accompagnati, e questo accompagnamento in qualche modo noi l'abbiamo capito, l'abbiamo vissuto, non sapremo forse descriverlo così perfettamente come se fosse un libro, però solo in virtù di questo riconoscimento noi oggi onoriamo il debito che abbiamo accumulato. Quindi il testimoniare non è solo alla fine dire l'opera di Dio, dico alla fine perché uno deve riassumerla, nella sua mente deve prenderne coscienza per poterla raccontare, la deve estromettere da sé per poterla vedere e dargli una configurazione,  ma la testimonianza si anticipa nel proprio cuore come abitudine del credente. È lo Spirito Santo a renderci  testimoni,  sulla base del desiderio di essere testimoni noi lo siamo realmente in virtù della potenza dello Spirito Santo. Quindi tutti quanti quelli che fra di noi sono nell'angoscia, nella cecità, nel buio più nero, nella fossa più profonda, sono comunque testimoni, anche se non dicono, anche se non narrano, anche se non gridano, ma lo sono  proprio in quel momento lì, e il fatto di esserlo rende miracolo la propria vita, anche se uno se ne rende conto dopo.  Che cosa fa il Signore? Ci rende edotti sulla sua opera, ci rende edotti se ci fa vedere che siamo con lui, che lui sta con noi, che c'è una relazione che diventa sempre più solida, e che non si sfilaccia più, perché non è sottoposta agli eventi, non dipende più da cosa succede, ma dipende da chi sono io e da chi sei tu.  E questa relazione si nutre della vita che scorre, ed è fatta di stare all'interno della propria vita come attori protagonisti, non come chi la subisce e la paga.  Così anche veramente nei momenti più dolorosi, negli accidenti più incomprensibili, nelle cose che non si capiscono e che non capiremo mai, forse quando saremo dall'altra parte, ma a quel punto non potremo raccontarlo. La nostra creaturialità, in alcuni momenti della nostra vita evidentissima e radicale, è quasi cattiva, ma  anche in quei momenti, soprattutto in quei momenti, la nostra cecità viene accompagnata e sostenuta da un amore che noi riusciremo a comprendere magari anni dopo, ma girandoci indietro potremo dire: però sono stato salvato sono stata salvata. Ci sono miracoli che si intuiscono, si vivono,  si comprendono anni dopo che uno ne è stato protagonista, e allora lo racconta, lo sa dire,  perché lo ha riconosciuto,  quindi la testimonianza non è solo un'azione che si fa,  è anche una disposizione premiante. Come diceva Paolo VI  il mondo non ascolta più i maestri,  l'uomo moderno ascolta di più i testimoni che i maestri e se ascolta i maestri lo fa solo perché sono dei testimoni.  È un pezzo famosissimo di Paolo VI,  è proprio qui il ganglio, il nodo, perché il maestro racconta la realtà e la interpreta, il testimone la vive e la vive anche quando non la dice, ma la vive perché sta lì per anni e alla fine la riconosce. Io Filippo e Caterina, ognuno a suo modo, ognuno per la sua indole,  per la sua sensibilità,  abbiamo fatto questo percorso, in parte è dovuto a noi,  alle scelte personali, in larga parte dovuto allo Spirito Santo.  È anche giusto che noi sappiamo assegnarci il giusto merito, come dice Paolo non abbiate un'opinione troppo alta di voi stessi, però riconoscendo a noi il giusto merito riconosciamo il grande merito dello Spirito, la forza dello Spirito, l'essenzialità dello Spirito, la potenza vivificante dello Spirito. Uno dei più grandi doni che ho avuto in questi anni è stato quello di imparare a memoria la sequenza dello Spirito Santo, perché non la sapevo a memoria. C’è stato un periodo prima che Filippo affrontasse i colloqui che poi l'hanno portato a questo contratto in cui avevamo paura, e abbiamo imparato a dire la sequenza tutte le sere, assieme a Caterina.

A proposito dei problemi di salute a cui Gaetano ha accennato qualcuno di voi lo sapeva già,  altri l'hanno saputo tardi, altri non l'hanno saputo.  Mi è capitato un ricovero in ospedale fra la fine di febbraio e gli inizi di marzo [...]. Quello che mi ha colpito di più in questo periodo è stata la compagnia, io non so dire quanto mi sono commossa in alcuni momenti del fatto che io sapevo che la mia situazione era una cosa nota.  Adesso farò una similitudine: non so se avete visto Avatar, ok, una delle caratteristiche di questo pianeta altro dove ci stanno questi esseri più alti eccetera eccetera (Pandora si chiama questo pianeta) è quello che come questi esseri toccano la terra la terra si illumina, nel sottosuolo si forma una rete luminosa, che unisce tutta la vegetazione del pianeta. Questa immagine mi torna spesso in mente: con  la condivisione comunitaria della fede la fede si rafforza, si genera quasi come una sorta di automatismo, la consapevolezza che quello che succede a uno succede a tutti in un modo misterioso, così che tutta la comunità lo possa sostenere.  Io ho avvisato pochissime persone del gruppo  di quello che mi stava capitando anche perché non avrei potuto oggettivamente chiamare, sarebbe stato complicato, ma semplicemente il mettere in atto il contatto ha generato un'onda di reazione d'amore che mi e ci ha sostenuto, e quindi la comunità dei credenti si muove intorno a un'esigenza in un modo misterioso che non dipende da quanto viene detto o da quanto viene materialmente condiviso ma semplicemente per il fatto che c'è una condivisione che va alle radici dell'essere, alle radici dello stare insieme. Evidentemente è qualcosa che dà un senso un senso profondo al vivere insieme, è che quando si sta in comunità cioè quando si sta in un gruppo e si celebra in un gruppo è diverso, è un'altra cosa, è un valore aggiunto di cui noi ci renderemo conto solo quando saremo chiamati da Dio, e allora  noi sapremo il bene che c'è qui solo quando lo vedremo dall'alto; nel frattempo contribuiamo a costruirlo da una parte, e dall'altra ne viviamo le benefiche conseguenze, non c’è bisogno nemmeno di esplicitare, semplicemente ci si nutre di un'aria diversa. Io penso a tutte le persone che sono passate in questa comunità e che io conoscevo. Ecco io le conosco, e questa comunità che si mantiene sulla base dei legami che vengono costruiti negli anni, e che sono legami che vanno al di là del dare, dell’avere, al  di là del sostegno, al di là del dire, è qualcosa che ha a che fare con l'esserci e la categoria dell'essere anche dal punto di vista filosofico è una categoria trascendente, non è una categoria della terra. Noi siamo dello Spirito che ci fa uno, e accorgersene, nutrirsi, respirare questo  in un momento della propria vita, averne la luce, fa la differenza fra credere a vuoto, perdonatemi il termine, e credere invece con un senso, fra credere perché lo troviamo convincente e credere perché invece è la vita, credere come un abito e credere come un intestino  Tu fai uno sforzo anche semplicemente come adesione a Dio, e ricevi in cambio ben più di quello che ci metti, e che si spalma nei secoli, si spalma negli anni, nei giorni, per cui quando chiamiamo (durante qualche preghiera c'è stato, ho vissuto questi momenti qui al gruppo) a raccolta la comunione dei Santi durante le preghiere comunitarie, la chiesa si riempie di anime di Santi, di gloria.  Quindi con queste immagini della gloria che si taglia, che riempie, che è una nuvola, noi celebriamo una concretezza ordinaria attraverso il riconoscimento con categorie simboliche trascendenti. Mettiamoci tutti insieme, andiamo, cerchiamo profondamente, camminiamo un passo alla volta, non fa niente, andiamo, così hanno ragione di esistere tutte le nostre azioni salvifiche, salvifiche perché ci siamo noi e c'è lo Spirito c'è Gesù c'è la forza di Dio qui, siamo qui e non siamo da altre parti. Questa è la nostra fede.

 


 

Pro-manuscripto ad uso interno del Gruppo Maria

L’elenco dei libretti del Gruppo Maria è reperibile all’indirizzo Internet http://www.gruppomaria.it/Biblioteca/Biblioteca.htm


 

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Il Gruppo Maria si riunisce ogni sabato alle 17:00 per la preghiera comunitaria carismatica aperta a tutti, seguita dalla Celebrazione Eucaristica prefestiva. Le riunioni, che sono pubbliche, si tengono nella Chiesa di Santa Maria della Consolazione, piazza della Consolazione, Roma. Una volta al mese, mediamente, si tiene il ritiro domenicale dell'intera giornata, anch'esso aperto a tutti.

Per le persone che intendono seguire il cammino si svolgono ulteriori attività formative e di approfondimento. Il principale servizio offerto a chi vuole sperimentare l'Amore di Dio nella potenza del Suo Santo Spirito, è il Seminario d'Effusione che, se ci si abbandona con fiducia all'azione dello Spirito Santo, porta al Battesimo nello Spirito. Durante la settimana sono spesso organizzati ulteriori incontri di formazione e di condivisione per la crescita personale e per il servizio offerto agli altri.

Per informazioni: gruppomariaroma@gmail.com

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